Il 13 gennaio 2021, l'Università ha ospitato un Seminario di studio* sull'Enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti, sul tema "La comune figliolanza della fraternità universale umana". Vi ha preso parte il Card. Miguel Angel Ayuso Guixot, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, la prof.ssa Maria Aparecida Ferrari, della Facoltà di Filosofia, e il prof. Cristian Mendoza, della Facoltà di Teologia, del quale ripotiamo l'intervento che segue.
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L’enciclica sociale Fratelli Tutti di papa Francesco si sviluppa sulla scia di riflessione propria della dottrina sociale della Chiesa, che parte sempre dalle micro-relazioni (la famiglia, la persona), per comprendere quindi le macro-relazioni (l’economia o la politica).[1]
Da un lato i rapporti socioeconomici e politici si considerano con uno sguardo attento al bene della famiglia e della persona. Dall’altro lato le riflessioni sociali partono proprio dall’idea dello sviluppo umano integrale nelle relazioni familiari e interpersonali. Se ad esempio, in una famiglia i genitori percepiscono che i loro figli hanno bisogno di più attenzione, uno dei due—o papà o mamma—può decidere di lavorare part-time per dedicare più tempo alla famiglia. Ciò non farà quella famiglia più ricca, perché uno dei due genitori lavorerà meno tempo, ma sarà una famiglia più umana e migliore. Allo stesso modo, il Papa ci chiede di guardare la nostra comunità umana per scoprire che ci sono molti poveri—di beni materiali, razionali (esclusi, scartati) e spirituali. E così ci si chiede se forse qualcuno potrebbe lavorare part-time in ciò che fa adesso fa per dedicare più attenzione e tempo a chi ne ha bisogno. In questo modo, la società non sarà più ricca economicamente, ma sarà più umana e migliore.
Nel suo documento, il Papa ci offre delle indicazioni per capire cosa vuol dire per ognuno di noi essere fratello di tutti e, in un secondo momento, indica a grandi linee alcune conseguenze sociopolitiche ed economiche del suo appello. Tocca a me trattare su l’appello personale.
Il cammino di riflessione che vi propongo percorrerà tre tappe:
In primo luogo, ci soffermeremo sul fatto che, dal momento del battesimo, ogni fedele riceve, per via della sua incorporazione a Cristo, una vocazione alla fratellanza universale. Si tratta di un appello configurante, secondo il quale “non dico più che ho dei “prossimi” da aiutare ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri”.[2] La vocazione cristiana permette di superare i limiti di appartenenza ai propri etnia, tribù o gruppo nazionale, superamento che ha delle conseguenze importanti per la dinamica morale dei popoli cristiani.
In secondo luogo, sarà affrontato il contenuto specifico di tale vocazione, ricevuta come grazia, che ci porta a seguire Gesù. La fratellanza universale è più di un generico sentimento di accoglienza o del talento nel mettere gli altri a proprio agio: in realtà, si tratta di una grazia che permette di partecipare ai frutti della Redenzione di Cristo, scoprendo la presenza di Dio negli altri, in particolare in coloro che sono stati in qualche modo feriti. Il punto è importante perché accettare l’invito vuole dire provare compassione per gli altri. Infatti, il Santo Padre sottolinea che, in molte occasioni, il luogo dell’incontro fra noi e Dio è la Croce di Cristo.[3]
In terzo luogo, come ultima tappa nella riflessione sulla fratellanza umana universale, proverò a evidenziare che il nostro essere fratelli e non solo sentirci tali, è frutto della comune figliolanza divina. Dio è Padre e perché è Padre di tutti, noi possiamo riconoscerci fratelli di coloro che appartengono ad altre comunità politiche, religiose, culturali, ecc. La dinamica umana che orienta all’unità è una grazia che nasce dalla ricerca della divinità, dalla carità più alta che si manifesta anche come capacità di comprendere e confortare tutti.[4]
Sintetizzando, le nostre tappe di riflessione sono: l’apertura, la compassione e la specificità della carità. Inoltre, questa fratellanza universale ha sempre come punto di riferimento Dio Padre e il modo umano di raggiungerla è chiedere la grazia di poter vivere una “fraternità consapevolmente coltivata (…) tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento”.[5] Solo in questo modo è possibile anche portare a compimento e soddisfare la nostra stessa libertà, che è soprattutto una “libertà orientata all’amore”, secondo l’espressione di papa Francesco.
1. Apertura: La vocazione cristiana come missione verso tutti
La vocazione universale della Chiesa nasce dall’indicazione di Gesù Cristo ai suoi discepoli: “andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15) e “andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).[6] Nello specifico, ciò portò i primi cristiani alla consapevolezza che la loro identità religiosa aveva un chiaro risvolto nella loro vita morale (1 Cor 8-10), ma che, allo stesso tempo, poteva essere accolta e vissuta da tutti, anche dai pagani. Nel dipanarsi della storia, il cristianesimo invita a una vita morale uguale per tutti—quella propria della fede.
Il popolo di Israele, come molte altre comunità antiche, costruiva la propria identità religiosa e politica attorno alla comune appartenenza di sangue. “Nelle tradizioni ebraiche, l’imperativo di amare l’altro e prendersene cura sembrava limitarsi alle relazioni tra i membri di una medesima nazione. L’antico precetto «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19, 18) si intendeva ordinariamente riferito ai connazionali”.[7] Ciò era dovuto all’assenza di separazione fra politica e religione: la religione era politica e sociale di per sé. Il rapporto fra popolo e tempio portava Israele a organizzare la società attorno al culto; viceversa, l’Impero Romano organizzava il culto delle divinità pagane in funzione del potere politico. In breve, in un senso o nell’altro, il collante sociale delle civiltà antiche era la religione. Il cristianesimo spezza in modo definitivo il vincolo tra salvezza religiosa e appartenenza a una popolazione o a un’etnia, grazie alla configurazione universale dell’assemblea dei fedeli e all’effettiva predicazione a tutti del Vangelo.
L’apertura verso i popoli pagani, vissuta sin dagli albori della fede cristiana, pone la vita morale propria degli abitanti della Palestina su un piano diverso da quello comunemente vissuto fino ad allora. Se l’ideale greco dell’etica consiste in un’idea complessa e nobile, per molti altri gruppi pagani il motore della vita morale risultava soprattutto la naturale concorrenza con gli altri popoli: quando un popolo desiderava essere eccellente, e dunque non essere sottomesso a potenze straniere, allora ai cittadini si imponeva una vita morale come disciplina necessaria.[8]
Per via del riferimento a Cristo e non alla perfezione del proprio popolo, la fede della Chiesa comporta così un altro importante cambiamento: non solo il cristianesimo non è vincolato al potere politico degli ebrei o a quello di Roma, ma in realtà la fede cristiana permette ai pagani di uscire dalla dinamica che vincola la morale personale e la concorrenza con gli altri popoli. L’ordinamento della legge e di un’autorità qualsiasi rimane così in secondo piano, lasciando spazio al desiderio personale di fare la volontà di Dio sulle orme di Gesù. La vita cristiana, in questo modo, diventa essenzialmente imitazione di Cristo, che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 8).
Papa Francesco ricorda, perciò, che il precetto ebraico «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18) diventa molto personale e specifico: “«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12). Tale appello è universale, tende ad abbracciare tutti, solo per la loro condizione umana, perché l’Altissimo, il Padre celeste «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5, 45). E di conseguenza, si esige: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6, 36)”.[9]
In breve, la vocazione cristiana, che è “l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”,[10] orienta a servire tutti invitandoli a vivere in Cristo; perché la fede della Chiesa non è più esclusiva di un popolo, di una comunità etnica o di un qualsiasi tipo di gruppo sociale.
L’esigenza di un’apertura personale verso gli altri ha delle conseguenze sociali di notevole peso. La distinzione tra religione e politica ha portato alla conclusione di dover vivere secondo il principio di una sana laicità, che riconosca l’autonomia relativa dell’ordine politico, sociale ed economico. La separazione della religione da ogni vincolo a un gruppo etnico specifico ha portato al superamento della tratta degli esseri umani e del razzismo, anche se, come lamenta il Santo Padre, abbiamo “avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza”.[11]
L’impegno tangibile per le reali necessità degli altri—necessità che non sono mai solo materiali, ma anche razionali e spirituali—, porta ad aiutarli tramite ogni tipo di beni di cui disponiamo—materiali, razionali e spirituali—ed è frutto di quello sguardo che contempla tutti nella prospettiva religiosa.
“In realtà la fede colma di motivazioni inaudite il riconoscimento dell’altro, perché chi crede può arrivare a riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e che gli conferisce con ciò una dignità infinita. A ciò si aggiunge che crediamo che Cristo ha versato il suo sangue per tutti e per ciascuno, quindi nessuno resta fuori dal suo amore universale”.[12] È a questo secondo importante aspetto che saranno dedicate le prossime riflessioni.
2. Compassione: Il cristianesimo come luogo di incontro con la Croce
Una volta accettato l’invito all’apertura nei confronti di tutti, così personale e specifico, ogni fedele cattolico, insieme alle persone di buona volontà, è invitato da Gesù a provare compassione per gli altri. È quanto ricorda Papa Francesco nel brano del Vangelo sul buon samaritano, che ha ricevuto un così ampio commento nell’enciclica.
La vita cristiana è certamente attenzione verso tutti, tuttavia il Vangelo ci insegna che esiste un amore preferenziale da parte di Gesù per coloro che soffrono. Dal momento dell’incorporazione a Cristo tramite il battesimo, la compassione dei fedeli è quasi come elevata dalla grazia fino a diventare compassione con Cristo e non solo con i sofferenti. Patire con il Signore è partecipare della Sua opera di Redenzione. In questo modo, i cristiani, avvicinandosi al dolore, all’ignoranza e alla morte dei propri fratelli, si avvicinano in realtà al Cristo. Così, l’invito del Papa diventa evidente: “cerchiamo gli altri e facciamoci carico della realtà che ci spetta, senza temere il dolore o l’impotenza, perché lì c’è tutto il bene che Dio ha seminato nel cuore dell’essere umano”.[13]
La comprensione dell’identità cristiana come corredenzione può cambiare a seconda delle tradizioni teologiche. Il teologo Karl Rahner, citato dal santo Padre nell’enciclica (al n. 88), osserva che, per la teologia protestante, nei fedeli cristiani vi è un’identificazione con Cristo che risponde ad un’analogia di proporzionalità impropria o estrinseca, diversa da quell’analogia di proporzionalità propria o intrinseca usata da san Tommaso per comprendere Dio.[14]
Una teologia incentrata sull’esperienza religiosa degli individui sostiene che l’essere umano può agire secondo la volontà del Padre soltanto per analogia estrinseca, vale a dire, allo stesso modo in cui si può dire che c’è intelligenza in un essere non razionale, ad esempio in un animale. Pur non essendoci intelligenza negli animali in senso proprio, per analogia di proporzionalità impropria si dice che gli animali sono intelligenti quando si comportano come se potessero riflettere, perché in alcuni animali si percepiscono tratti simili a quelli della ragione umana. Non c’è un vero e proprio fondamento reale della somiglianza tra soggetti e predicato, né quanto ai loro rapporti né per una relazione di causa-effetto (l’“intelligenza” degli animali non è l’intelligenza umana, che è razionale: c’è una differenza essenziale, possiamo dire un salto qualitativo; né l’intelligenza dell’uomo causa quella degli animali). Allo stesso modo, l’analogia estrinseca ci permetterebbe di osservare tratti della divinità negli uomini, anche se in realtà l’essere creati a immagine e somiglianza di Dio non significherebbe affatto una reale impronta divina negli uomini.
San Tommaso non comprende l’analogia tra l’uomo e Dio in questo modo. Per il Dottore Comune, invece, vale l’analogia di proporzionalità propria, che può essere esemplificata con il modo in cui nel volto di un figlio si scopre suo padre: quest’ultimo è realmente presente nel figlio che ha generato. In questo tipo di analogia, la relazione soggetto-predicato si verifica propriamente per un soggetto e in modo simile per l’altro; inoltre ciò che si attribuisce ai soggetti è reale per entrambi. L’essere creati a immagine e somiglianza di Dio ci permette di scoprire negli altri, in realtà, la presenza del Padre celeste. Allo stesso modo, nella sofferenza delle persone è possibile intravedere, in realtà, la passione della Croce di Cristo.[15]
Con ciò intendo sottolineare che la Croce di Cristo “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1 Cor 1, 23) è, sì, il luogo del silenzio e della solitudine, eppure esso diventa lo spazio per la manifestazione del Padre, che non ha abbandonato Suo Figlio, ma che ha espresso come ultima Parola Divina la risurrezione di Cristo.[16] L’esperienza del dolore, della miseria e dell’abbandono per i fedeli cristiani—come frutto della grazia—diventa occasione per la manifestazione di Dio nella propria vita, ma anche in quella degli altri, e assume così un significato decisivo. Il Papa ci ricorda che quest’esperienza porta ad ottenere un frutto dello Spirito Santo, la “bene-volentia, cioè l’atteggiamento di volere il bene dell’altro. È un forte desiderio del bene, un’inclinazione verso tutto ciò che è buono ed eccellente, che ci spinge a colmare la vita degli altri di cose belle, sublimi, edificanti”.[17]
Avvicinarsi al dolore e al sofferente, soffermarsi davanti alla morte e ai moribondi non è un semplice talento né soltanto un atteggiamento virtuoso; per i fedeli cristiani, oltre a tutto questo, è una vocazione che permette di intravedere ciò che è divino attraverso le vicende della storia dell’umanità. Al contrario, perdere l’opportunità di quell’approssimarsi a coloro che soffrono è perdere l’opportunità di scoprire la manifestazione di Dio che si fa presente nel silenzio, nell’abbandono, nel dolore.
L’invito fondamentale rivolto ai cattolici dall’enciclica Fratelli Tutti di papa Francesco è fermarsi a guardare Gesù in quelle condizioni di povertà, dolore e ignoranza che troppo facilmente vengono giudicate un problema altrui; ma, in realtà, così ci viene ricordato che la Parola di Dio si ascolta soltanto nel silenzio. I fedeli cristiani sanno di essere portatori di quel silenzio nel loro peccato e per questo nel dolore degli altri riscontrano una sorta di connaturalità; così, l’enciclica indica che, dove non c’è un eco al dolore degli altri, in qualche modo è presente una malattia o una mancanza.
“Poiché tutti siamo molto concentrati sulle nostre necessità, vedere qualcuno che soffre ci dà fastidio, ci disturba, perché non vogliamo perdere tempo per colpa dei problemi altrui. Questi sono sintomi di una società malata, perché mira a costruirsi voltando le spalle al dolore”.[18]
L’assenza di risposte umane e l’incapacità di spiegare quale senso possono avere il dolore e la sofferenza sono condivise da tutti gli uomini, che sono capaci di sopportare qualsiasi sofferenza tranne quelle incomprensibili. Eppure, i cattolici non vengono liberati dal dolore dalla loro incorporazione a Cristo, ma il loro dolore diventa risposta divina, redenzione e, perciò, vera liberazione. Volgiamoci adesso all’ultima tappa del nostro itinerario di riflessione.
3. Carità: La specificità dell’appello di Gesù per gli altri
Papa Francesco è attento a indicare e sostenere opere specifiche e cerca di mettere in moto anzitutto un cambiamento personale. “Una persona di fede può non essere fedele a tutto ciò che la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di una autentica apertura a Dio”.[19]
Il rapporto fra la propria fede e le proprie opere è il punto di riflessione fondamentale per qualsiasi persona che vuole capire quale sia il criterio più importante per orientare la propria vita. Credere in ciò che è la verità dà senso alla propria vita, perché esige un comportamento coerente. Le opere sono conseguenza della fede e proprio di questa fede nella verità. Gli insegnamenti dei romani Pontefici e del magistero ecclesiale contribuiscono, assieme alla propria coscienza e ad altre istanze deontologiche, a definire il senso morale delle opere. Se gli strumenti—tecnologici, del capitale o dell’ordine sociale—prendessero davvero autonomia morale, in modo tale da non avere più un punto di riferimento umano, tutta la civiltà crollerebbe sotto il nichilismo.
La Chiesa sa di avere il compito di insegnare il senso della vita, ricordando che è la fede a guidare ed ispirare le opere: da una parte, la fede senza opere è solo un sentimento e, dall’altra, le opere senza fede sono fine a se stesse. Comunque sia, la qualità morale di una cultura si manifesta nel modo e nel fine secondo i quali si adoperano gli strumenti disponibili: l’economia, la politica, ecc. Ogni strumento viene usato secondo la cultura dominante in una determinata società. In generale, esistono due grandi culture, come osserva san Paolo (1 Cor 15; Rm 5-6): una in cui si cerca di instaurare il regno di Dio e un’altra in cui si vive secondo il peccato. Dove regna Dio, nasce la virtù, come in circoli concentrici: la verità, la pace, il servizio, l’accoglienza e la generosità. Dove regna il peccato, crescono dinamicamente l’egoismo, l’invidia, l’ingiustizia, la superbia, l’esclusione.
Le civiltà costruite secondo una cultura dove Dio Creatore è assente, pur ponendosi il problema del senso della vita, non riescono a risolverlo. Invece, le culture che considerano la creazione come opera divina sanno che la persona è chiamata a collaborare con il Creatore: questa è la convinzione dei cristiani. L’appello del magistero sociale nella Fratelli Tutti diventa così chiaro e giustificato: il cristianesimo non potrà mai diventare un’etica socialmente utile, perché non basta cambiare gli strumenti, occorre cambiare l’uomo e ciò è compito della Chiesa.
“Perciò la mia critica al paradigma tecnocratico non significa che solo cercando di controllare i suoi eccessi potremo stare sicuri, perché il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le utilizzano”.[20]
Un’ultima parola per concludere. Il riferimento alla volontà del Padre porta il peso dell’impegno cristiano per il cuore dei fedeli, inteso come il centro della loro vita, dove si misurerà il desiderio di essere cristiani, anche se non sempre si è riusciti a manifestarlo pienamente. La vita cristiana, inoltre, ha inizio su questa terra, ma dovrà poi, finalmente, diventare pienezza nell’aldilà: ciò permette non solo di liberarsi da possibili catene politiche e da certi modi di apparire come gruppo o come comunità, ma anche dall’idea di raggiungere la salvezza esclusivamente con i propri meriti o grazie ai propri risultati terreni.
L’impegno cristiano è tessuto fra la grazia divina e la corrispondenza umana, che deve però in qualche modo diventare tangibile. Angelo Tosato, commentando il testo del giudizio finale in Matteo 25, osserva che la lode del giudice sorprende coloro che hanno agito senza aspettarsi una ricompensa divina, perché il desiderio di essere cristiano matura nella misura in cui si incarna nell’effettivo servizio degli altri.
“Il criterio di valutazione cui il giudice supremo rivela di volersi attenere sembra essere quello della effettività, non quello della motivazione religiosa o della consapevolezza umana nel beneficare; ancora meno, ovviamente, quello della semplice predicazione al prossimo dell’obbligo di praticare la beneficenza. Di conseguenza vengono ad assumere primaria importanza per i cristiani quelle virtù lavorative che rendono l’operare umano effettivamente vantaggioso al prossimo: l’inventiva, la professionalità, l’abnegazione e la rettitudine”[21].
Per Tosato, ciò dovrebbe spingere a riflettere quanti, spinti dalla buona volontà, si propongono di accudire i malati o di liberare i sofferenti dalla loro povertà materiale, ma scelgono dei mezzi che in realtà ostacolano lo sviluppo desiderato. Il giudice del passaggio del Vangelo di Matteo considera i risultati effettivi, non i desideri non incarnati di coloro che pensavano di meritare il premio promesso.
L’enciclica sociale di Papa Francesco, dunque, rivolge al cuore dei cattolici e di tutti gli uomini di buona volontà l’invito a vivere secondo un atteggiamento personale di apertura, compassione e servizio concreto della carità a beneficio di tutti. E ricorda una verità molto importante per tutti noi, ed è che ci sono virtù che—come un dono dello Spirito Santo—ci permettono di risolvere il senso della nostra esistenza, queste sono la carità, la misericordia, la fratellanza intesa in senso forte cioè come imitazione del Figlio che ci fa conoscere il Padre comune che è nei cieli. Questo modo di vivere la carità, la misericordia, il perdono questa fratellanza sono degli atteggiamenti profondi che viviamo con gli altri. Non è un vivere che semplicemente si compre o si mette in atto per gli altri, ma dobbiamo diventare caritatevoli, misericordiosi e fratelli esperimentando queste virtù in un processo costante fino a diventare ciò che siamo: fratelli tutti perché figli di un Padre comune.
* Gli altri interventi della giornata sono disponibili a questo indirizzo
[1] Benedetto XVI. 2009. Caritas in Veritate: Lettera Enciclica sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità. n. 2; Francesco. 2020. Fratelli Tutti: Lettera Enciclica sulla fraternità e amicizia sociale. n. 181. Disponibili online: www.vatican.va [02.01.21]
[2] Francesco. 2020. Fratelli Tutti., n. 81. Corsivo mio.
[3] Ibid., n. 68: “Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga «ai margini della vita». Questo ci deve indignare, fino a farci scendere dalla nostra serenità per sconvolgerci con la sofferenza umana. Questo è dignità”.
[4] Ibid., n. 223: “San Paolo menzionava un frutto dello Spirito Santo con la parola greca chrestotes (Gal 5, 22), che esprime uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce”.
[5] Ibid., n. 103.
[6] Le citazioni bibliche sono prese da: Conferenza Episcopale Italiana. 2008. Bibbia. Disponibile online www.bibbiaedu.it [02.01.21]
[7] Francesco. Fratelli Tutti., o.c., n. 59.
[8] Greene, Joshua. 2013. Moral Tribes: Emotion, Reason, and the Gap Between Us and Them. Penguin Press: New York., p. 26: “Morality did not evolve to promote universal cooperation. On the contrary, it evolved as a device for successful intergroup competition”.
[9] Francesco. Fratelli Tutti. o.c., n. 60.
[10] Benedetto XVI. 2005. Deus Caritas Est: Lettera Enciclica sull’amore cristiano., n. 1. Disponibile online: www.vatican.va [02.01.21]
[11] Francesco. Fratelli Tutti., o.c., n. 86.
[12] Ibid., n. 85.
[13] Ibid., n. 78. Corsivo mio.
[14] Rahner Karl. 2013. The Content of Faith: The Best of Karl Rahner’s Theological Writings. Edited by Lehmann, Karl & Raffelt, Albert. Translation edited by Harvey D. Egan, S.J., Crossroads: New York. p. 213; Rahner, Karl. 2008. Foundations of Christian Faith: An Introduction to the Idea of Christianity. Herder &. Herder: Freiburg. p. 61.
[15] S. Tommaso D’Aquino. Summa Theologiae, I, q. 13, a. 5 c. Disponibile online www.carimo.it [02.01.21]; Strumia, Alberto. 2002. Analogia. Documentazione Interdisciplinare Scienza e Fede. Disponibile online: www.disf.org. [04.01.21]
[16] Ratzinger, Joseph. 1984. Behold the Pierced One: An Approach to Spiritual Christology. Ignatius Press: San Francisco., p. 25: “death, which, by its very nature, is the end, the destruction of every communication, is changed by him [Jesus] into an act of self-communication; and this is man’s redemption, for it signifies the triumph of love over death”.
[17] Francesco. Fratelli Tutti. o.c., n. 112.
[18] Ibid., n. 65.
[19] Francesco. Fratelli Tutti. o.c., n. 74.
[20] Ibid., n. 166.
[21] Tosato, Angelo. 1994. Economia di Mercato e Cristianesimo. Borla: Roma., pp. 102-103.