Unità del sapere e transdisciplinarità. Per una lettura della «Veritatis gaudium»
Tra gli interventi pronunciati nel corso dell'Assemblea plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica, svoltasi dal 17 al 20 febbraio 2020, c'è anche quello del prof. Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario di Teologia Fondamentale, che si è focalizzato su alcuni aspetti della Veritatis gaudium, la Costituzione apostolica di Papa Francesco circa le Università e facoltà ecclesiastiche. Riportiamo il testo apparso sull'edizione del 12 marzo 2020 de L'Osservatore Romano.
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Fra i criteri enunciati da Papa Francesco al n. 4 del Proemio della Veritatis gaudium allo scopo di porre in pratica quanto previsto da questa costituzione, il terzo di essi riguarda l’unità del sapere e il lavoro interdisciplinare. Una domanda propedeutica all’analisi di questo criterio potrebbe essere la seguente: Perché il richiamo all’“unità del sapere” è così frequente nella riflessione della Chiesa sull’educazione? Quali fini si propone questo appello, presente anche nelle opere di molti autori, da Newman a Jaspers, da Guardini a Maritain, che hanno scritto sulla cultura e sull’università? Il richiamo è riproposto in modo programmatico al n. 2, citando Fides et ratio n. 85: «L’uomo è capace di giungere a una visione unitaria e organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del prossimo millennio cristiano».
Qualcuno potrebbe pensare che i richiami all’unità del sapere siano in fondo finalizzati ad assicurare un giusto spazio anche alle scienze umane, e con esse alla filosofia ed eventualmente alla teologia, trattandosi di discipline che, nell’epoca contemporanea, subiscono la forte sfida del sapere tecnico-scientifico. In tal modo, attraverso l’esortazione a non dimenticare le scienze umane, sarebbe più facile, a livello epistemico, restare aperti ad una domanda su Dio. In realtà, la finalità che la Chiesa si propone è più profonda e riguarda il livello antropologico. La Chiesa ha a cuore l’unità della persona e desidera evitare una visione meramente funzionale o strumentale della conoscenza.1 Un sapere unitario consente al soggetto di accedere alla sfera dei fini, senza restare confinato in quella dei mezzi. La maturità nelle scelte, la prudenza, la phronesis per dirla con Aristotele, necessitano di una conoscenza contestuale, non riduttiva né settorializzata. Solo una persona colta, che sa unificare le diverse fonti di conoscenza, può essere una persona profonda. L’unità del sapere che la Chiesa raccomanda, dunque, non si oppone alla specializzazione, il cui valore è indiscutibile in ogni contesto universitario e di ricerca; si oppone invece ad un sapere strumentale e soprattutto al riduzionismo, cioè all’idea che un singolo metodo ed una singola disciplina offrano una visione esaustiva della realtà.
Una volta fondata la ragionevolezza del tendere verso l’unità del sapere e dei saperi, si giustifica più facilmente l’interdisciplinarietà, come possibilità di studiare un oggetto secondo diversi approcci sinergici, non giustapposti; e, successivamente, la trans-disciplinarità, come apertura dei diversi saperi verso oggetti formali più ampi, secondo gerarchie di intelligibilità che dispongono all’ascolto di risposte riguardanti i fini dell’azione e il senso dell’intero.
Veritatis gaudium introduce l’unità del sapere presentandola come un principio vitale qualificante e umanizzante: «Ciò che qualifica la proposta accademica, formativa e di ricerca del sistema degli studi ecclesiastici, sul livello sia del contenuto sia del metodo, è il principio vitale e intellettuale dell’unità del sapere nella distinzione e nel rispetto delle sue molteplici, correlate e convergenti espressioni. [...] Questa precisa e orientatrice direttiva di marcia non solo esplicita l’intrinseco significato veritativo del sistema degli studi ecclesiastici, ma ne evidenzia anche, soprattutto oggi, l’effettiva rilevanza culturale e umanizzante» (n. 4c)
Successivamente, il documento ne pone in luce il carattere cristologico. Il sapere si può unificare perché la realtà è una in Cristo, Verbo nel quale e per mezzo del quale ogni cosa è stata fatta. L’unità del sapere, in sostanza, è riflesso dell’unità del progetto divino in Cristo. L’annuncio di Cristo è annuncio di comunione e di condivisione, di ricomposizione di ciò che è disperso e frammentato.2
La costituzione precisa inoltre che l’interdisciplinarietà collegata a tale riunificazione non va intesa in senso debole, come giustapposizione di saperi, ma in senso forte, come transdisciplinarità, appunto la capacità dei saperi di aprirsi a livelli sempre più profondi di intelligibilità, e dunque ultimamente alla Sapienza increata, alla luce della quale la ricerca umana di conoscenza acquista il suo senso definitivo. Il riferimento è quasi testuale ad Evangelii gaudium n. 134. Le varie discipline possono dunque aprirsi ai “perché ultimi”, riconoscendone la significanza, anche se a tali “perché” non è possibile fornire una risposta compiuta entro il metodo scientifico delle singole discipline.3
Citando san John Henry Newman, Veritatis gaudium ricorda che la persona colta sa collocare la sua specializzazione entro un quadro più ampio, sa cogliere il significato che essa possiede per il tutto, e dunque per tutto l’uomo. E citando il beato Antonio Rosmini, ribadisce che l’unità del sapere è anche coerenza fra verità e vita, fra scienza e carità (cfr. n. 4c).
Vale la pena notare che queste considerazioni di Papa Francesco su interdisciplinarietà e unità del sapere vengono proposte seguendo alcune direttrici essenziali del suo pontificato: uno stretto rapporto fra studio teologico ed afflato pastorale; l’idea di una Chiesa in uscita secondo un dinamismo che riguarda non solo l’ambito geografico, ma anche quello esistenziale delle culture e dei modi di pensare; il profondo legame fra studi ecclesiastici e promozione umana. In merito a quest’ultimo aspetto, egli dichiara che gli studi devono essere finalizzati a informare cristianamente la società e le culture, perché una società cristianamente informata si fa promotrice di progresso sociale e umano. Gli studi ecclesiastici rappresentano a tale scopo, afferma Francesco, un provvidenziale laboratorio intellettuale e culturale (cfr. n. 3).
L’unità del sapere coinvolge pertanto sia il piano epistemico, sia quello esistenziale-antropologico (e dunque ultimamente cristologico): la raccomandazione di Benedetto XVI ad allargare i confini della razionalità viene riletta da Francesco come raccomandazione ad allargare il cuore alle ragioni dell’altro, come esortazione affinché le accresciute capacità di relazione e la globalizzazione generino adesso comunione e condivisione. Non siamo di fronte ad una semplice analisi della situazione, bensì alla consegna di una precisa missione: «imprimere agli studi ecclesiastici quel rinnovamento sapiente e coraggioso che è richiesto dalla trasformazione missionaria di una Chiesa “in uscita”» (n. 3). Missione, si aggiunge, che richiede «una coraggiosa rivoluzione culturale» (n. 3, citando Laudato si’, n. 114).
Il valore strategico del richiamo all’unità del sapere nel contesto scientifico e socio-culturale contemporaneo
Per meglio valutare quanto proposto da Veritatis gaudium è opportuno dirigere brevemente lo sguardo al contesto intellettuale e sociale odierno. Il panorama culturale di buona parte del Novecento è stato caratterizzato da una crescente frammentazione del sapere, spesso presentata come necessità di progresso conoscitivo e giustificata sulla base dei vantaggi pragmatici che la specializzazione possiederebbe nei confronti di una cultura generalista, ritenuta poco profonda. La formazione scientifica si è così progressivamente distaccata dalla cornice filosofico-umanistica che l’aveva accompagnata (e in qualche modo generata) nelle epoche precedenti.
Si è venuta così a creare una frattura fra scienze naturali e scienze umane, fra applicazioni tecniche e contesto antropologico, fra conoscenze quantitative, affidate a protocolli formalizzati, e giudizi qualitativi, fondati invece sulle virtù personali. Ciò ha causato — e causa tuttora — elementi di disagio: la tecnica finisce con l’assumere un valore ambiguo, la scienza si colora di immagini contraddittorie; i protocolli formali risultano insufficienti quando applicati a decisioni che coinvolgono l’essere umano, la sua vita sociale, la sua salute; nascono scompensi e contraccolpi sull’ambiente; si individuano con difficoltà le condizioni che possono trasformare il progresso scientifico in autentico progresso umano.
A questo stato di cose hanno cercato di reagire alcune correnti di pensiero, rivalutando il ruolo delle cosiddette Humanities, suggerendo di introdurre in alcune università dei core curriculum interdisciplinari o favorendo approcci olistici nello studio della realtà.4 Solo per fare qualche esempio, ne sono nate applicazioni nello studio dei sistemi complessi, nelle ricerche della System biology e nei nuovi metodi delle Medical humanities. È anche sorta, come ben noto, una nuova sensibilità ecologica per la difesa dell’ambiente. Si valuta oggi con maggiore senso critico l’impatto antropologico delle nuove tecnologie. Si percepiscono, meglio che in passato, le problematiche etiche legate ai processi di controllo automatico che prescindono dalla presenza dell’uomo, alle applicazioni dell’intelligenza artificiale e alle ricerche finalizzate allo human enhancement.5 Ciononostante, il modo con cui si avvertono tali rischi e si cerca di risolvere questa situazione non ha, generalmente parlando, il respiro di un vero e proprio progetto educativo. Infatti, la maggior parte delle riflessioni oggi disponibili su queste tematiche operano ancora solo a livello pragmatico e non sembrano preoccupate di promuovere una cultura umana integrata, unificata dalle domande di senso e dai fini che dovrebbero illuminare l’azione del soggetto. La preoccupazione etica resta confinata a regolare le conflittualità e a chiarire le responsabilità in gioco, spesso solo per fini economici, con scarso interesse alle esigenze del bene comune e alla promozione morale della società.
Di fronte a queste incertezze, la proposta di un’unità del sapere centrata sulla persona, attenta alla sfera dei fini ed aperta al fine ultimo, come quella tematizzata dalla Chiesa e dalla migliore riflessione cristiana sull’educazione, possiede un significativo valore strategico. In tale più organica proposta, la scienza è chiamata ad incontrare la sapienza, la tecnica è guidata dall’etica del servizio, il progresso scientifico è orientato al progresso umano. Il piano pragmatico è oltrepassato, perché si punta al piano dello sviluppo integrale; la domanda etica non è regolata dall’esame dei rischi o dei diritti del singolo, ma punta al bene comune e alla crescita di tutti. La scienza viene rivalutata nelle sue dimensioni umanistiche e personaliste, riconosciuta come impresa di verità e di servizio, non più interpretata come mero strumento funzionale. A questa visione, in fondo, implicitamente aspirano molti, spesso senza saperlo, quando auspicano una formazione umana integrale, nelle scuole e nelle università, quando lamentano le contraddizioni e la scarsa vivibilità della società odierna, o quando manifestano preoccupazione per quella di domani.
Esistono importanti motivazioni storico-filosofiche che giustificherebbero una leardership culturale degli studi ecclesiastici, o comunque un loro ruolo privilegiato, nell’auspicato recupero dell’unità del sapere. Prima fra tutte, il fatto che le università siano nate ex corde Ecclesiae, come luogo di dialogo fra le diverse discipline, per fare luce sulle grandi domande sull’uomo e sul mondo. Fin dalla loro fondazione, non pochi ecclesiastici e numerosi credenti si sono dedicati allo studio delle scienze, manifestando con le loro opere e la loro vita la profonda unità esistente fra ricerca scientifica e i grandi temi filosofici che caratterizzano la cultura umana. Si tratta di eredità storiche che vanno ricordate e valorizzate. Inoltre, in tempi a noi più vicini, la Dottrina sociale della Chiesa ha favorito un’autentica unità del sapere, avendo essa sempre compreso le nozioni di “promozione” e di “sviluppo” dei popoli entro una visione armonica e unitaria della persona umana, ove il progresso economico e sociale venisse misurato anche in termini di accesso all’istruzione e alla cultura.6 Infine, il concilio Vaticano IIsi è fatto promotore di un dialogo culturale a tutto campo e di una visione positiva del progresso scientifico e tecnologico, vedendo in quest’ultimo significative potenzialità di servizio all’uomo, senza limitarsi a sottolinearne rischi e ambiguità.7
Promuovendo il dialogo interdisciplinare e l’unità del sapere, la Chiesa favorisce infine la cooperazione sociale internazionale: essa contribuisce a creare le condizioni affinché gli umanisti, acquisendo una visione equilibrata e realista della scienza, evitino catastrofismi o ingenuità, e affinché gli uomini di scienza, allargando i confini della loro razionalità, non cadano in pericolosi riduzionismi e restino aperti alle molteplici dimensioni dell’esperienza umana.
Un’occasione da non perdere: potenzialità e specificità degli studi ecclesiastici e dell’educazione cattolica
Al termine di questa riflessione vorrei offrire alcuni suggerimenti su come, a mio avviso, si potrebbe favorire quanto raccomandato dalla parte del Proemio qui esaminata. Mi limito ad enunciarli sotto forma di punti concreti, rimandando ad altra sede un loro possibile sviluppo.
1. Allo scopo di accrescere la dimensione interdisciplinare degli studi ecclesiastici, occorre favorire la presenza di corsi opzionali che presentino almeno “istituzioni” di alcune materie scientifiche, riannodando la grande tradizione storica dell’interesse della Chiesa per le scienze.
2. Per favorire una visione unitaria del sapere informata dalla fede occorre sviluppare una didattica che non rinunci a porre gli studenti in rapporto con le grandi questioni attuali suscitate dal progresso delle conoscenze. Fra queste: la rilettura della visione della Rivelazione sul mondo e sull’uomo, alla luce della contemporanea visione storico-evolutiva del cosmo e della vita; il senso della custodia e della trasformazione del mondo affidata da Dio all’uomo nel contesto di uno sviluppo sostenibile; il rapporto fra l’uomo e la tecnica secondo il piano creatore e redentore di Dio; quale significato assume oggi la capacità che l’uomo ha di operare sulle fonti della vita e sulla stessa vita umana.
3. Favorire che le università ecclesiastiche sappiano formare intellettuali capaci di elaborare un sapere di sintesi; le università non devono formare solo pastori, come accade già nei seminari, ma anche i dottori di cui la Chiesa ha e avrà sempre bisogno.
4. Favorire la creazione di licenze specializzate su temi di grande impatto culturale e con forte contenuto interdisciplinare, da realizzare con il contributo di più università e il consorzio di più istituzioni, non avendo una singola sede universitaria le capacità di fornire tutte le competenze necessarie per impartire curriculum innovativi e di eccellenza.
5. Elaborare piani di studio che favoriscano una sintesi matura fra fede e ragione nei laici, professionisti e intellettuali credenti che lavorano nel mondo, con modalità di studio e contenuti adatti alle loro condizioni di vita: formazione a distanza, master flessibili, seminari permanenti, scuole estive, ecc. Esistono in proposito esperienze che andrebbero incoraggiate e valorizzate, ad esempio operando in sinergia con movimenti e realtà ecclesiali.
6. Favorire la creazione di centri di ricerca interdisciplinare di eccellenza, finalizzati a promuovere quel sapere di sintesi di cui si gioveranno le varie componenti del popolo di Dio. Tali centri non sono chiamati a competere sul piano della ricerca scientifica in senso stretto. La loro eccellenza riguarderà invece il piano dell’interpretazione, l’analisi interdisciplinare, la proposta di sintesi innovative. A tali comunità di studio spetterà anche, alla luce della fede, l’importante compito di formulare un giudizio cristiano sulla storia e sulle direzioni intraprese dal progresso scientifico, tecnologico, economico, sociale.
La posta in gioco è alta ed il cammino da seguire esigente; ma la storia e la tradizione della Chiesa ci incoraggiano a percorrerlo anche nel secolo presente.
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Note
1. Offriamo un approfondimento della tematica in G. Tanzella-Nitti, Unità del sapere, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2002, 1410-1431.
2. «Si tratta di offrire, attraverso i diversi percorsi proposti dagli studi ecclesiastici, una pluralità di saperi, corrispondente alla ricchezza multiforme del reale nella luce dischiusa dall’evento della Rivelazione, che sia al tempo stesso armonicamente e dinamicamente raccolta nell’unità della sua sorgente trascendente e della sua intenzionalità storica e metastorica, quale è dispiegata escatologicamente in Cristo Gesù. [...] Questo principio teologico e antropologico, esistenziale ed epistemico riveste un peculiare significato ed è chiamato a esibire tutta la sua efficacia non solo all’interno del sistema degli studi ecclesiastici: garantendogli coesione insieme a flessibilità, organicità insieme a dinamicità; ma anche in rapporto al frammentato e non di rado disintegrato panorama odierno degli studi universitari e al pluralismo incerto, conflittuale o relativistico, delle convinzioni e delle opzioni culturali», Veritatis gaudium, n. 4c.
3. «L’odierna riscoperta del principio dell’interdisciplinarietà: non tanto nella sua forma “debole” di semplice multidisciplinarità, come approccio che favorisce una migliore comprensione da più punti di vista di un oggetto di studio; quanto piuttosto nella sua forma “forte” di transdisciplinarità, come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio», Veritatis gaudium, n. 4c.
4. Esistono analisi classiche in proposito. Si vedano ad esempio A. Bloom, The closing of the Americam Mind (1987) e la trilogia di E. Morin, Insegnare a vivere (2015), La testa ben fatta (2000) e I sette saperi necessari all’educazione del futuro (2001). Di interesse la recente provocazione di L. Laplane et al., Why Science needs Philosophy, «Proceedings of the National Academy of Sciences», 116 (2019) 3948-3952.
5. Esprime questa percezione e la necessità di una riflessione in tal senso l’evento promosso dalla Pontificia accademia per la vita dal 26 al 28 febbraio 2020, intitolato «The Good Algorithm?».
6. Cfr. Paolo VI, Populorum progressio, nn. 14, 35.
7. Si vedano, ad esempio, le pagine della Gaudium et spes relative ai nn. 33-37, 44, 57-62.
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