3ª Giornata di studio su migranti e rifugiati, 16 febbraio 2022
Promossa dal Comitato Informazione, migranti e rifugiati, mercoledì 16 febbraio 2022 si è svolta la Giornata di studio La comunicazione su migranti e rifugiati tra solidarietà e paura.
L'iniziativa ha offerto una nuova occasione di confronto tra accademici, giornalisti e responsabili di organizzazioni umanitarie per mettere a fuoco le criticità del sistema dei media e per contribuire a una informazione seria e rispettosa della dignità umana.
Ascoltare con l’orecchio del cuore i migranti e i rifugiati
«Per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Dare un nome e una storia a ciascuno di loro». Nel solco del Messaggio del Santo Padre Francesco per la 56ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, si è tenuta oggi la terza edizione de La comunicazione su Migranti e Rifugiati. Iniziativa di studio e di formazione professionale per giornalisti promossa dalla Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce (che ha ospitato l’evento) e dall'Associazione ISCOM, in collaborazione col Comitato Informazione, migranti e rifugiati. Con il proposito di favorire un racconto del fenomeno migratorio improntato alla verità, lontano dalle narrazioni polarizzate o sterilmente divisive, rispettoso della dignità delle persone coinvolte (la dignità "è la pietra angolare del nostro impegno, della nostra passione civile": il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel suo discorso di reinsediamento), in linea con l’etica e la deontologia professionali. In un contesto geopolitico e geostrategico particolarmente complesso - le crisi in Ucraina, in Libia, in Afghanistan, in Yemen -, con rilevanti ricadute sul fenomeno e sulla relativa copertura mediatica.
Nel suo intervento introduttivo alla Giornata, padre Fabio Baggio ha richiamato alcune iniziative che il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale (Sezione Migranti e Rifugiati), ha adottato negli ultimi cinque anni in funzione di una «comunicazione generativa» di verità e di cura, in armonia col Magistero di Francesco. In particolare, ha osservato, «occorre prestare particolare attenzione alla questione del lavoro, che è al servizio dell’uomo, e non il contrario. Coloro che sono senza un impiego, o hanno impieghi irregolari e precari, rischiano di trovarsi relegati ai margini della società». Data la vitale importanza del lavoro nella promozione della dignità umana e dello sviluppo umano integrale, nel novembre del 2021 la Commissione Vaticana COVID-19 ha lanciato il progetto Lavoro per Tutti, nell’intento di avviare, con le comunità cattoliche locali di tutto il mondo, un percorso condiviso di discernimento sul futuro dell’occupazione «per creare opportunità di lavoro che siano di qualità, dignitose, sostenibili e resilienti». Sfida – ha sottolineato padre Baggio - oltremodo impegnativa per i migranti e i rifugiati: «Molti di loro è come se non esistessero, sono esposti a varie forme di schiavitù e di sfruttamento».
«Ascoltiamo queste storie!», è l’esortazione di Papa Francesco: «Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese. Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso, non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare».
L’ascolto di alcune testimonianze di rifugiati, raccolte dal Centro Astalli, ha così accompagnato l’intera Giornata di studio. Due i filmati proposti al pubblico presente anche da remoto (ottanta persone circa tra giornalisti, accademici, ricercatori, comunicatori di Ong, studenti): Rifugiati: ai confini dell'umanità (con riguardo ai muri eretti a trent'anni di distanza, il filmato è del 2019, dalla caduta del Muro di Berlino), e Storie Rifugiate, il racconto di richiedenti asilo per ragioni politiche.
I contributi video hanno offerto a Mario Marazziti (Comunità di Sant’Egidio) l’occasione per riflettere sull’importanza della “vera” accoglienza e della “vera” integrazione, alla luce di un’esperienza personale all’origine di una grande vicenda collettiva (raccontata in Porte Aperte, Viaggio nell’Italia che non ha paura, Piemme 2019). «Ero a Lampedusa, due giorni dopo il grande naufragio. 172 corpi erano da recuperare. Quel 5 ottobre 2013, decidemmo di “inventare” i Corridoi Umanitari. Per rimanere umani, noi e l’Europa. Grazie a sponsorship e alla società civile, da allora, 4.500 rifugiati hanno ripreso a vivere, in Italia, e in Europa. Sant’Egidio, le Chiese protestanti, la Chiesa, cittadini comuni, e un modello di integrazione a disposizione dei governi. “Umanizzare” può oggi non essere più solo un fatto straordinario».
Rifuggendo da quella «globalizzazione dell’indifferenza», denunciata da Francesco proprio a Lampedusa. Ne ha parlato Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera): «Da ultimo, salutando uno a uno i rifugiati del campo di Lesbo, il Papa ha detto: Sono qui per guardarvi negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti”. Come si fa ad aprire una breccia nel muro della paura e dell’indifferenza? Come raccontare la tragedia delle migrazioni? Per un giornalista si tratta di fare, paradossalmente, un passo indietro. La lezione di Flaubert: non mostrare le proprie emozioni ma suscitarle nel lettore: e far vedere i dettagli, i volti, le storie».
Come già emerso dalla Giornata del 2021 (seconda edizione), la rappresentazione del fenomeno migratorio si riduce, infatti, non di rado alla pigra divulgazione di numeri e dati ("le fredde statistiche"), trascurando le persone e le loro storie, ciascuna con una identità e un vissuto straordinari. Là dove - ha spiegato Stefano Allievi, ordinario di Sociologia (Università di Padova) - «non si capisce una barca con cento migranti che galleggia precariamente nel Mediterraneo se si guarda una barca con cento migranti che galleggia precariamente nel Mediterraneo. Per capire di cosa si tratta veramente, bisogna guardare al contempo più da lontano e ancora più vicino: guardare cosa succede in Africa e in Europa (dal punto di vista demografico, economico, sociale, politico, ambientale…), da un lato, ed entrare nella testa, nel corpo e nei sogni di qualcuno di quei migranti, e nella vita di chi si ritroverà ad avere a che fare con loro, dall’altro. Badare alla dimensione dei valori, ma anche a quella degli interessi, dei bisogni, dei sentimenti».
Adele Del Guercio (Dipartimento di Scienze umane e sociali - Università degli Studi di Napoli L'Orientale), nel soffermarsi sul tema dei diritti violati dei migranti alle frontiere europee, ha messo in rilievo come «i respingimenti operati dalla Guardia costiera libica, le “riammissioni” al confine italo-sloveno, le persone bloccate alla frontiera tra Polonia e Bielorussia, al pari delle devoluciones en caliente a Ceuta e Melilla costituiscano pratiche realizzate in palese violazione delle garanzie riconosciute dal diritto internazionale e dalla normativa Ue alle persone in fuga, in primis del principio di non-refoulement e del diritto di asilo».
La percezione del fenomeno che scaturisce dalla comunicazione anche social è stata al centro del dibattito, moderato dal notaio Vincenzo Lino, tra Aldo Skoda (Pontificia Università Urbaniana) e Fabrizio Battistelli (presidente Istituto Ricerche Internazionali Archivio Disarmo).
La costruzione di una «mitologia migratoria», è stata la riflessione di Skoda, ha modificato la percezione del fenomeno alimentando stereotipi, pregiudizi, stigma e discriminazione. «Occorre superare la tendenza di presentare il fenomeno della mobilità umana solo attraverso i numeri, le definizioni o peggio ancora i fatti di cronaca che seminano incertezza e paure. Serve un impegno concreto per andare oltre la cultura dell’indifferenza e del sospetto, verso una concreta fratellanza».
Una prospettiva utile per "leggere" la funzione dei media nella presentazione della notizia è l'analisi sociolinguistica delle metafore. A giudizio di Battistelli, infatti, «la metafora è cruciale nella comunicazione su temi particolarmente controversi. Intenzionalmente o meno, essa veicola precisi significati e obiettivi da parte dell'emittente, per cui il fenomeno migratorio viene sistematicamente descritto come un pericolo (calamità naturale: ondata, malattia ecc.), una minaccia (invasione, penetrazione, squilibrio ecc.), un rischio (viaggio, rete ecc.). È significativo che di queste tre metafore, due siano semanticamente e concettualmente negative e una ambivalente».
Sul tema dei rapporti tra verità e professione giornalistica si sono infine confrontati, dopo essere stati presentati da Raffaele Iaria (Fondazione Migrantes), Annalisa Camilli (Internazionale) e Nello Scavo (Avvenire). Per quest’ultimo, «il peggiore nemico dei giornalisti e del giornalismo non è il crimine, ma la menzogna di Stato. Uno Stato che tace o mente davanti alle inchieste dei giornalisti, è uno Stato che legittima chi minaccia e intimidisce i giornalisti. Motivando il premio Nobel per la Pace ai giornalisti Maria Ressa (Filippine) e Dmitry Muratov (Russia) viene ribadito che l'informazione è “precondizione per la democrazia e per una pace duratura”.
Un giornalismo di pace, perciò, non è pacifista. E’ semplicemente un giornalismo in ricerca delle verità». La stessa che persegue, nella sua sua attività di giornalista impegnata da anni nel racconto del fenomeno migratorio, Camilli, secondo la quale «dopo due anni di pandemia le notizie sull’immigrazione sono sempre più ai margini, non sono più in prima pagina, non sono finiti tuttavia gli sbarchi e gli arrivi, né gli abusi e il razzismo ai danni degli stranieri, soprattutto non si sono interrotti i respingimenti illegali alle frontiere europee. Così dopo essere stati criminalizzati e vittimizzati, ora i migranti subiscono un’altra sorte: quella dell'invisibilità e dell’indifferenza». A dispetto della cruda e insopprimibile verità.
Antonino Piccione
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