Donna, immagine e stile della Chiesa
L’8 marzo 2019, in occasione della festa della donna e nell’ambito dell’VIII Corso di specializzazione in informazione religiosa, si è tenuta la tavola rotonda Il ruolo della donna nella Chiesa. Insieme ad altre due collaboratrici del Papa in organismi diversi della Santa Sede, vi ha preso parte anche la professoressa Gabriella Gambino, Sottosegretario per la Famiglia e la Vita del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Pubblichiamo alcuni passaggi del suo intervento.
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È stato scritto molto sul ruolo della donna nella Chiesa, ma credo che ancora resti molto da fare per capire come affrontare il difficile lavoro quotidiano di riconoscimento della “forza ecclesiale e sociale delle donne”, laddove riescono ad essere presenti, come indicato da Papa Francesco. Per questo sono stata a lungo combattuta su come impostare questa riflessione.
Finché poi ho potuto ascoltare dal vivo le parole del Santo Padre durante il Meeting sulla protezione dei minori nella Chiesa e ho avuto il privilegio di poter guardare il suo volto intenso, evidentemente mosso dallo Spirito, mentre pronunciava quelle parole, immediatamente risuonate in tutto il mondo:
“Invitare a parlare una donna non è entrare nella modalità di un femminismo ecclesiastico, perché alla fine ogni femminismo finisce con l’essere un machismo con la gonna. No. Invitare a parlare una donna […] è invitare la Chiesa a parlare su sé stessa […]. La donna è l’immagine della Chiesa che è donna, è sposa, è madre. Uno stile. Senza questo stile parleremmo del popolo di Dio come organizzazione, forse sindacale, ma non come famiglia partorita dalla madre Chiesa”.
Non sono una teologa né una canonista, ma mentre ascoltavo il Papa sentivo che stava finalmente esprimendo il vero senso della presenza e del ruolo delle donne nella Chiesa. Stava verbalizzando quello che penso e sento da sempre come donna di fede, e in particolare da quando sono stata chiamata dal mondo a lavorare nella Chiesa, per la Chiesa e come Chiesa. La Chiesa è donna, è sposa, è madre. E attraverso la donna essa deve imparare a parlare di sé, di ciò che fonda la naturale com-presenza delle donne nella Chiesa accanto agli uomini e, in particolare, ai sacerdoti ordinati, la conseguente necessità che siano loro riconosciuti degli spazi, affinché possano portare un contributo consapevole, specifico e differente all’edificazione del corpo ecclesiale.
Due sono le caratteristiche della Chiesa che ci aiutano a comprendere in una prospettiva di senso il ruolo della donna come fedele laico, investita del sacerdozio comune:
- La natura della Chiesa come Popolo di Dio, che in virtù del battesimo, comprende tutti i fedeli laici, uomini e donne (cf. LG 10 e 13).
- La natura della Chiesa come mistero di comunione (cf. LG 1), all’interno del quale ha senso ogni presenza, ruolo e azione da parte delle donne e degli uomini nella Chiesa. In altre parole, la realtà del genere umano come uomo e donna, perché così Dio li creò nella storia, fonda la necessaria com-presenza di entrambi nella vita della Chiesa, così come del mondo, nella complementarietà, reciprocità, collaborazione e corresponsabilità.
Il problema della presenza delle donne nella Chiesa, dunque, in virtù del suo fondamento, non è riducibile ad una redistribuzione di ruoli, ma va esteso ad una doverosa comprensione di come fare spazio all’originalità femminile per poter arricchire in maniera più significativa e decisiva la Chiesa.
Laddove l’originalità – quella che Giovanni Paolo II chiamava il “genio femminile” – è il proprium della donna nella sua dimensione costitutiva: sposa e madre, come ci ripete Papa Francesco. Che non sono due modalità vecchie e “ancillari” di pensare la donna, condannandola ad una condizione servile nella Chiesa oltre che nel mondo, ma capacità relazionali costitutive potenti, in grado di introdurre nel mondo uno sguardo di comprensione e traduzione della realtà, differente e originale rispetto all’uomo.
Nella specie, è la dimensione sponsale a rendere l’uomo e la donna costitutivamente capaci di relazione, sinergia, collaborazione e comunione. In particolare, con l’espressione “dimensione sponsale” intendo riferirmi a quella capacità ontologica di amore e dono di sé, che caratterizza ogni persona umana, chiamata da Dio a realizzarsi in pienezza in una vocazione. Ma la donna, ben più dell’uomo, in virtù della sua intrinseca capacità generativa e materna di “dare alla luce” e di farsi carico di questo dare alla luce, è in grado di far presente al mondo quella necessaria relazione di collaborazione e corresponsabilità tra uomo e donna, che deve potersi manifestare anche nella Chiesa.
Comprendere questo privilegio e dono della donna oggi non è scontato. Nella cultura post-moderna, pervasa di incertezze identitarie e rivendicazioni di diritti, la voce delle donne va ascoltata non perché devono avere più potere – in una logica di empowerment e di rivendicazioni ridondanti – ma perché alla donna Dio ha affidato l’uomo (cf. MD, 30). Ci è stato dato un mandato che è un dono, ed è necessario e urgente realizzarlo non in maniera autoreferenziale, ma in una sinergia costante con l’uomo per rendere la Chiesa più docile ai Doni dello Spirito.
La presenza delle donne nella Chiesa deve, in particolar modo, contribuire a rimettere al centro della questione sociale ed ecclesiale la maternità, non solo perché essa è il cuore del messaggio evangelico, ma anche perché concretamente essa costituisce l’essenza del femminile e deve potersi esprimere ed essere vissuta dalle donne che partecipano attivamente al lavoro nella Chiesa. La maternità, infatti, è capacità di portare amore e protezione nei confronti della fragilità umana, è misericordia (trovo significativo che nella lingua ebraica lo stesso termine – rahamin – indichi la misericordia e il grembo materno), ospitalità e, soprattutto, capacità generativa morale e spirituale. Per questo è un modo di essere della donna in sé, non necessariamente legata alla maternità biologica.
Il femminile, infatti, ha la capacità di rimuovere quell'efficientismo maschile, tuttora presente nella Chiesa e nella società, che stanca l'essere umano, e che invece ha bisogno di sentirsi rigenerato nella sua identità filiale. In tal senso, un aspetto altrettanto importante è il ruolo che possono avere le donne nel riportare al centro della Chiesa la consapevolezza che siamo Figli di Dio. In fondo ogni madre, con il suo esserci, ricorda al proprio figlio che alla radice del suo esistere c'è un padre.
Così la donna, con il suo essere nella Chiesa, può mostrare all'uomo contemporaneo, chiuso nel suo razionalismo e individualismo autoreferenziale, che all’origine della sua vita c'è il grande amore del Padre per ciascuno di noi. C’è un desiderio di Dio. Questa consapevolezza può restituire al mondo la fede, ossia la capacità di ogni uomo di fidarsi di Dio, e con la fede anche dei punti di riferimento per la nostra vita morale. E in questo le donne hanno una missione specifica, rendendosi così sorgenti di forza per la società.
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