Colloqui sulla Comunicazione - Incontro sul tema "Identità religiosa: storytelling e serialità", 25 ottobre 2023
Incontro con:
Marco DI PORTO, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Cenap AYDIN, Istituto Tevere
Luca MANZI, Università Cattolica di Milano
Sergio PERUGINI, Conferenza Episcopale Italiana
"Identità religiosa: storytelling e serialità"
Mercoledì 25 ottobre 2023
Aula "Benedetto XVI"
*L’incontro è parte della Giornata di studio “Religioni e media. Tra secolarizzazione e rivoluzione digitale”
Si è parlato di "Identità religiosa: storytelling e serialità" nell’incontro di mercoledì scorso in facoltà che è stato parte della più ampia Giornata di studio “Religioni e media. Tra secolarizzazione e rivoluzione digitale” organizzata da ISCOM e dal Comitato “Giornalismo & Tradizioni religiose”.
Ospiti d’eccezione i rappresentati di diverse religioni ed esperti del settore come Marco Di Porto, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Cenap Aydin, dell’Istituto Tevere, Luca Manzi, dell’Università Cattolica di Milano, e Sergio Perugini, della Conferenza Episcopale Italiana. Ha moderato il dibattito Rossella Miranda, del Centro Studi su M.O. e Mediterraneo.
“Cerchiamo di fornire occasioni per comprendere e raccontare il mondo ebraico”, ha esordito Marco Di Porto, “per mostrare che si tratta di un mondo vivo e attivo”. Il centro dell’intervento è stato quello della diffusione della cultura ebraica per abbattere i pregiudizi “e dare una lettura realistica di ciò che siamo”. Per Di Porto non è solo importante l'attualità “per raccontare Israele, ma occorre farlo sempre, anche nei momenti tranquilli, per mostrare la capacità di coesistenza e il presidio di valori che le comunità ebraiche cercano di osservare, come la laicità dello stato. Argomenti che cerchiamo di offrire come contributo anche attraverso la serialità televisiva e con numerosi audiovisivi”. Per Di Porto un posto importante nella cultura ebraica ce l’ha la narrazione. “Saggi, tragedie, l'epopea della Torah, sono raccontate anche nelle nostre sinagoghe dove impariamo in fondo l'identità, in una società complessa, attraverso uno sguardo propositivo e proattivo rivolto al domani”.
Anche Cenap Aydin ha parlato d’identità. “Purtroppo, però – ha precisato – quando usiamo la parola Islam va bene, ma non va bene quando diciamo islamismo. Anche chiamare islamici le persone di fede musulmana è sbagliato. Lo diceva già 100 anni fa Caetani. La parola corretta è musulmano”. Per Aydin, se non si usano temi corretti si rischia confusione ed errori. “La declinazione sociale, culturale e geografica dell'islam è molto precisa e dobbiamo cercare di non essere eurocentrici nelle definizioni”. Ma come sono rappresentati – si chiede – i musulmani nei media e nelle telenovele, oggi? “Dall'11 settembre ci troviamo sempre di fronte a questo doveroso impegno di dover spiegare che non facciamo nulla di male”. Oggi, ricorda, “abbiamo la possibilità di avvicinare le persone umane, di spiegare e capire la loro identità, cosa vogliono, cosa sono, ecc. L'identità torna ad essere al centro e oggi diventa sempre più interattiva con diverse dimensioni: il mio essere musulmano è sempre riformato se vivo con la presenza di cristiani e di altre religioni”. Quindi anche l'identità “è un work in progress”. “Un’altra dimensione – ha detto Aydin – è la paura dell'altro. Questo atteggiamento porta con sè il rischio di creare dei ghetti mentali considerando l'altro una minaccia”. Mentre l’obiettivo, ricorda, “è mettersi in dialogo perché l'identità si costruisce in maniera dinamica”.
Luca Manzi si è focalizzato sulla religiosità di una narrazione partendo dalla serie. “C’è un primo livello che è quello iconico. Cioè in una narrazione appare un prete o una suora”. Secondo Manzi questo modo esplicito di raccontare può diventare anche una gabbia. “Narrazione iconica significa che somiglia a qualcos'altro (eikon = somiglianza). L'iconografia rimanda, dunque, ad un mondo. Questo mondo quanto è profondo? quanto è liberamente raccontato in maniera complessa?”. Esiste infatti anche un'identità religiosa che è invece all’interno della struttura del racconto. “La struttura è come il telaio della macchina, va costruita. Ogni storia tende a passare da una situazione di infelicità e disordine ad una di felicità e ordine, come diceva Aristotele, come forma più alta di narrazione”. Secondo Manzi la tragedia greca ha avuto per secoli questo compito. Una storia che tende ad una felicità e ad un ordine, per forza finisce bene. “Oggi sappiamo che anche una storia disordinata, dove manca l'ordine, può essere religiosa perché ci fa percepire una mancanza. Se studiamo la serialità degli ultimi 30 anni, la struttura che tende ad ordinare il mondo in armonia e bellezza è quanto di più religioso che esista, perché ci manca qualcosa, molto più di una storia alla don Matteo”. Negli ultimi tempi però, questo modo di narrare si è inclinato. “Oggi assistiamo alla frammentazione, dove delle cose avvengono a caso e senza logica nei personaggi. Se ci fate caso è quello che va più di moda. Senza avere la consapevolezza della tragedia”. Questa è, per Manzi, la differenza tra rappresentazione religiosa e non religiosa. “La gravità di questa introduzione è per me un terreno inesplorato”.
Sergio Perugini, ha riflettuto sul rapporto tra media di massa e religione. “Oggi ci troviamo in un periodo diversificato. Con le piattaforme digitali è cambiato il programma rispetto ad anni fa. Abbiamo serie consolidate (‘don Matteo’, ‘Che Dio ci aiuti’, ecc.) cioè serie multi-genere con linee ‘crime’, linee ‘commedy’, ecc.”. Perugini ha anche sottolineato una tendenza degli ultimi tempi, “sembra che ci sia l’esigenza di raccontare le persone. Penso al film su Papa Francesco o alla fiction ’the Chosen’, da molti salutata come prodotto innovativo per essere riuscita a raccontare la vita di Gesù”.
Secondo Perugini oggi assistiamo anche ad un utilizzo dei canoni religiosi in maniera più provocatoria rispetto al passato alle volte svuotandone l'identità. “Ad esempio l'eroizzazione della figura del prete o la linea ‘fantasy’, per non parlare dei film horror come ‘L'esorcista del Papa’ con Russel Crowe, che usa solo la cornice con coordinate legate alla storia di padre Amorth”. Questo dimostra, afferma Perugini, che “oggi il racconto religioso è molto presente e si diversifica, ma si manipola l'elemento religioso”. Importante, allora, diventa ”non solo la vigilanza sui contenuti ma la modalità stessa di racconto, che è educativa”. Molte volte oggi lo spettatore è inconsapevole “perchè non sa decodificare se l'audiovisivo non viene insegnato nelle scuole”. L’esigenza è saper distinguere e “muoversi con consapevolezza come veri cittadini digitali”.
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